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Gli anziani, una ricchezza per la Chiesa

Prof. Marco Impagliazzo
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Un cambiamento d’epoca, anche per l’anzianità 

“Non viviamo in un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca”: dice Papa Francesco. Ogni aspetto del nostro tempo va perciò compreso sulla lunga distanza. Siamo in una stagione di passaggio e quindi dobbiamo coglierne i segni dei tempi, che papa Giovanni e il Concilio ci hanno insegnato a leggere come un alfabeto della storia. Gli anziani sono un decisivo segno dei nostri tempi. Come, d’altra parte, i migranti.

Chi è l’anziano oggi? Quante età si celano dietro la sempre più generica e poco utilizzabile definizione di “terza età”? La forza omologatrice della globalizzazione si estende anche al modo con cui si concepiscono le età della vita e quindi ai comportamenti, gli stili di vita, le idee su di sé, le identità? Sono interrogativi vasti, forse anche troppo. Ma vale la pena non eluderli perché una cosa è certa: il mondo invecchia a qualsiasi latitudine e questo secolo dovrà prima o poi farci i conti, perché è un enorme cambiamento umano e sociale, “cambiamento d’epoca” appunto. Anche se la cultura dominante, ispiratrice dei comportamenti individuali, reagisce ignorando gli anziani o truccando la vita dei vecchi con i colori della giovinezza. Uno dei più illustri gerontologi contemporanei, Jerôme Pellissier, ha scritto:

“Non è un caso se i tre discorsi dominanti sulle persone anziane sono di ordine demografico, medico ed economico: invece di pensare la vecchiaia, ci si focalizza sui numeri, sui corpi e sui costi. La stessa difficoltà di trovare il termine adeguato testimonia il malessere: ‘vecchio’ in opposizione a ‘giovane’, percepito quasi come un insulto, è diventato una specie di tabù.”

Il discorso pubblico sulla condizione anziana è afasico, quasi un tabù. Manca un “pensiero” sulla vecchiaia. E’ paradossale, in un mondo e in un tempo in cui i vecchi crescono sempre più di numero e la vita si allunga in modo impensabile anche solo fino a pochi anni fa. Papa Francesco, forse il primo papa che ha parlato in modo organico della vecchiaia, in una delle sue catechesi del mercoledì sulla famiglia, dedicata ai nonni, ha detto:

“Questo periodo della vita è diverso dai precedenti, non c’è dubbio; dobbiamo anche un po’ ‘inventarcelo’, perché le nostre società non sono pronte, spiritualmente e moralmente, a dare ad esso, a questo momento della vita, il suo pieno valore”.

Questa è un’età che non si trova a suo agio in un tempo che esalta l’autonomia individuale, il culto del presente, il fascino di quella nuova condizione antropologica ed esistenziale, giustamente definita “adultescenza”. E’ una riflessione cruciale. Va detto subito che la vita non declina necessariamente con il ridimensionarsi della vita attiva. Chi è anziano può avere ancora una vita attiva, ma è evidente la realtà e il mistero dell’indebolirsi, mentre si continua a vivere. Ma questo non vuol dire spegnersi interiormente. Anzi talvolta aumentano però gli spazi della vita spirituale. Fuori dal mercato e dalla logica lavorativa, crescono gli spazi di gratuità.  Su questa dimensione – che riguarda gli anziani, anche il resto dell’umanità - mi soffermo ora.

L’anziano nella Bibbia

Il Salmo 71, chiamato la preghiera del vecchio, è la preghiera della disperazione e della speranza.  Paolo dice ai Corinzi: “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12, 10).  È il tema della forza nella debolezza, che attraversa la riflessione cristiana e che risalta nella morte e resurrezione di Gesù.

Certo, non bisogna fare dell’anziano un mito. Romano Guardini parla del “materialismo senile”, di chi “capitola” davanti alla vecchiaia, rinunciando al coronamento della propria vita, per aggrapparsi a quello che gli resta, alle cose e al potere. E’ una possibilità: spesso si dice che, quando si ha potere e si hanno molti soldi, anche se vecchi, non si viene trattati da vecchi.

Tuttavia, c’è una vera carenza di riflessione sulla vecchiaia come stagione dello spirito, sulla spiritualità dell’anziano, che diventa anche carenza di riflessione sulla debolezza e sulla dimensione “non attiva” del vivere. Il “peccato” dell’anziano non è l’omissione del “fare”, quanto piuttosto quello della rassegnazione o della disperazione. È lasciarsi sopraffare dal male, dal peso del corpo, dalla sventura, dal dolore, dal pessimismo. Una tentazione di ogni età. Nella rassegnazione si soccombe al presente: la tendenza al ripiegamento su di sé, a pensare solo a sé (“finora ho vissuto per gli altri, ora mi dedico a me”, espressione tipica dell’anziano).

L’uomo del Salmo 71 si scopre vecchio. La preghiera prende le mosse dal bisogno di rifugio e dalla delusione. Scoprirsi vecchi è scoprire la debolezza, l’irreversibilità dei propri anni. Finché si è giovani infatti si può dire: “Ho ancora tempo. A una certa età farò questo o quello. Recupererò…”. Invece la vecchiaia porta con sé l’assenza del futuro con le sue possibilità. L’uomo del Salmo non si accetta come vecchio. Il mondo circostante non accettare il vecchio. E’ un male antico come si vede dall’ammonizione del Siracide: “Non disprezzare un uomo quando è vecchio, perché anche tra noi alcuni invecchieranno” (Sir 8,6). Ma allora cosa vuol dire per un anziano sperare, pregare, non lasciarsi sopraffare dal male? L’anziano lotta per continuare a fare le poche cose che ancora gli riescono. L’uomo del Salmo 71 percepisce la vecchiaia come sofferenza, come disprezzo per sé, come abbandono. Anche da parte di Dio.

Il salmo 71 descrive in termini realistici la condizione del vecchio, ma si conclude con un’affermazione molto bella: “Cantando le tue lodi esulteranno le mie labbra e la mia vita che tu hai riscattato”, che richiama il Salmo 92: “Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno verdi e rigogliosi” (v.15). Ma è possibile tutto questo? Non si tratta di un wishfull thinking? Anche perché, da anziani, si riesce poco a realizzare qualcosa da soli e si ha grande bisogno degli altri.

La congiura contro l’anziano

Il vecchio non fa più paura a nessuno: si parla di lui, in sua presenza, pensando che non comprenda. Si sente dire degli anziani più fragili: “Guarda come si è ridotto!”. Nelle parole di medici, parenti, infermieri emerge una sentenza: è una persona inutile, finita! Il Salmo denuncia la congiura verso l’anziano, “spiato”. Cosa vuol dire “congiurare”? Non è eccessivo applicare questo termine ai nostri civili rapporti sociali? Ma “congiurare”, in fondo, vuol dire che qualcuno decide di te senza di te. C’è poi la congiura del silenzio: nessuno parla all’anziano, nessuno lo ascolta o lo appoggia.

Per il Salmo, l’anziano “non ha chi lo liberi”: è un uomo solo. E allora: “prendetelo, inseguitelo, fatene quello che volete. Anche Dio lo ha abbandonato”. Ecco il vecchio: solo e senza forze. Si può farne quello che si vuole. E i congiurati non hanno nemmeno il pudore di tacere, specie se il vecchio sembra sordo, confuso. Non ha coscienza – “non capisce”, come si dice – tanto che si può parlare duramente di lui in sua presenza. Nell’anziano, la delusione rischia di diventare realtà permanente. Si confronta il presente con il passato, il modo in cui si era trattati una volta e quello di oggi, la lucidità di prima e il ragionare confuso di adesso. Uno stato psicologico irreversibile. Questa è la realtà dell’anziano: l’irreversibilità. Non si può recuperare molto. Sopravviene l’angoscia per un baratro che sta inghiottendo ogni cosa, senza più la consolazione di poter guardare il futuro.

Il Salmo 71 riflette questa condizione, ma aiuta a guardare Dio come futuro, rifugio in un mondo ostile: “In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso”. La preghiera, orientando verso Dio, diviene la via d’uscita: “Per la tua giustizia, liberami e difendimi, tendi a me il tuo orecchio e salvami. Sii tu la mia roccia, una dimora sempre accessibile; hai deciso di darmi salvezza: davvero mia rupe e mia fortezza tu sei!” (vv. 2-3). “Roccia”, “dimora”, “rupe”, “fortezza”: sono tutti termini che troviamo frequentemente nei salmi, riferiti a Dio. Nella fragilità dell’anziano, si evidenzia il bisogno di Dio, che è di ogni donna o uomo, seppure ignorato o dimenticato.

Nel capitolo 65 di Isaia, il profeta delinea l’ideale escatologico della salvezza: “Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza, poiché il più giovane morirà a cent’anni”. La pienezza del vecchio sono i cent’anni. Oggi è possibile raggiungere questa età anagrafica, ma non sempre la pienezza e la pace. La Scrittura afferma con decisione che la lunga vita è una benedizione. Ma la nostra società non sa valorizzare questa benedizione. Anzi oggi la società fa vivere più a lungo e poi abbandona l’anziano, lo sospinge in quelle istituzioni che lo allontanano dalla famiglia e dall’ambiente in cui è sempre vissuto.

Oggi la lunga vita non è più sinonimo di saggezza. Altre età della vita sembrano offrire risorse ben maggiori. Una riprova viene dall’Africa. I popoli che abitano a sud del Sahara sono infatti noti per l’atteggiamento di venerazione tradizionalmente riservato all’anziano, ritenuto depositario della saggezza e della storia della comunità, elemento indispensabile di equilibrio e di garanzia: “Quando un vecchio muore, è una biblioteca che brucia”, si diceva. Ma nelle metropoli composte di slums, così come nei villaggi, la tradizione non conta più, e gli anziani, sempre più numerosi nonostante le carenze dei sistemi previdenziali e sanitari, sono considerati estranei, stranieri, pericolosi. In alcuni casi li si definisce addirittura ndoki, sorciers, stregoni: vivono a lungo perché “hanno rubato anni di vita ad altri”. La longevità diviene così un furto, una colpa da punire, oltreché con lo stigma, con la violenza, che ovviamente si indirizza verso quanti sono più deboli e soli.

Il carisma dell’anziano

Le nostre società del Sud e del Nord non hanno più bisogno degli anziani? Sembra di sì, perché hanno la riflessione pubblica sfugge a discuterne. Del resto, gli anziani sono sempre più invisibili: ai margini della società, chiusi negli istituti, senza voce. Eppure sono tanti. Sempre più. Ha scritto il grande teologo ortodosso Olivier Clément: “Una civiltà dove non si prega più è una civiltà dove la vecchiaia non ha più senso. E questo è terrificante: noi abbiamo bisogno prima di tutto di anziani che pregano, perché la vecchiaia è data per questo”.

E’ un’affermazione importante: la società ha bisogno della vecchiaia, se non vuole ridursi solo a essere una realtà economica o a un intreccio di rapporti guidati dalla funzionalità e dall’interesse. L’emarginazione della vecchiaia e l’emarginazione della preghiera vanno di pari passo: il Vangelo chiede a tutti, anche ai giovani, di essere già vecchi, perché insegna a considerare decisivo quello che sembra inutile. Vorrei dire: va di pari passo con l’emarginazione del gratuito. Il cristianesimo propone un vero e proprio culto dell’”inutile”: la preghiera. Insegna l’arte della compagnia gratuita, al di là dell’utile o del produttivo.

Nel salmo 71, ai versetti dal 5 al 7, la memoria si intreccia con la preghiera e questa sembra nascere da quella. La memoria della presenza del Signore nella vita: “Sei tu, mio Signore, la mia speranza, la mia fiducia, Signore, fin dalla mia giovinezza. Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno: a te la mia lode senza fine. Per molti ero un prodigio, ma eri tu il mio rifugio sicuro”. La vecchiaia non è tanto decadenza, ma una categoria spirituale. Più siamo ricchi, più siamo insoddisfatti. La ricchezza si accompagna spesso all’insoddisfazione. In quello che Isaia chiama “il crogiuolo dell’afflizione” (Is 48, 10), si scopre la preghiera. Nel bisogno, si scopre la preghiera: “Della tua lode è piena la mia bocca: tutto il giorno canto il tuo splendore. Non gettarmi via nel tempo della vecchiaia, non abbandonarmi quando declinano le mie forze” (ivi. 8-9). “Quando declinano le mie forze”: è una bella definizione della vecchiaia, tempo del bisogno, della debolezza, della sconfitta.

Ma che può fare il vecchio, se non è pienamente cosciente? Che vuol dire? Viceversa, il vecchio spesso capisce. Capisce molto di più di quello che gli si riconosce. Ma ha bisogno di sentirsi dire dagli altri: “Io ci tengo a te…Coraggio! Sono con te!”. Ma al vecchio spesso nessuno dice la sua compagnia e amicizia. È come se dovesse dirselo da solo. È la durezza profonda della solitudine. È sentire che la famiglia non è più la mia, che a casa non sono più quello che ero, che gli amici se ne vanno, che ero il più giovane e ora sono il più vecchio… Il venir meno della famiglia vuol dire – specie per gli anziani in istituto - la fine del Natale, della Pasqua, delle feste, che non si celebrano più, o almeno non più come una volta. Ecco, questa è la congiura contro l’anziano.

Bisogna mostrare agli anziani, a noi stessi, alla società, alla Chiesa, che la vita di tanti anziani ha un senso. Mi chiedo se questo non sia un compito della Chiesa, che però è stato troppo trascurato, appiattendosi sulla mentalità corrente. Bisogna aiutare tutti a non disprezzare la debolezza, ed essere consapevoli che tale debolezza esiste già nei momenti di maggiore salute e vigore, quando si è sani e si ha un ruolo. Tante volte gli anziani disprezzano la loro vita. Invece l’anziano può essere, a suo modo, utile, bello, determinante. Andrea Riccardi ha scritto:

“Il volto di un vecchio può essere bello… Invecchiare non è imbruttire, se la luce passa attraverso gli occhi e il cuore. Ciò che conta non è la bellezza giovanile, televisiva, magari mai posseduta, irraggiungibile –per i più– o non più raggiungibile, quanto la trasfigurazione di un volto e di un cuore. È la trasfigurazione che rende belli. Questa bellezza sfida il tempo, gli anni che passano, e ha il sapore della vita che non finisce, dell’eterno”.

Perché non pensare allora che il carisma dell’anziano risieda proprio nella preghiera e nell’accoglienza gratuita?  Penso alla capacità degli anziani di portare nel cuore la preoccupazione per chi è in difficoltà, per chi soffre, per i popoli in guerra per cui pregano. Ha detto Francesco:

“La vecchiaia è un tempo di grazia, nel quale il Signore ci rinnova la sua chiamata: ci chiama a preservare e a tramandare la fede, a pregare, specialmente a intercedere; ci chiama ad essere accanto a quanti sono nel bisogno. Gli anziani, i nonni, hanno una capacità unica e speciale di cogliere le situazioni più problematiche. E quando pregano per queste situazioni, la loro preghiera è forte, è potente!”.

Se il carisma dell’anziano non è più la saggezza (come nelle società agricole dove conservava i segreti del mondo naturale), c’è però una “utilità” dell’anziano nella bellezza della sua testimonianza, nella tenerezza, nell’accoglienza. Sono le dimensioni che colpiscono i giovani e i giovanissimi quando incontrano gli anziani. Sono testimone di innumerevoli incontri tra ragazzi e vecchi che hanno cambiato la vita di entrambi. I giovani scoprono negli anziani un’affettività personale, esplicita, diretta, gratuita, che li commuove e li umanizza e che magari non trovano nei loro genitori. Percepiscono che anche nella debolezza c’è bellezza, e questo li libera dalla costante ricerca dell’apparire, della perfezione esteriore.  

I vecchi nella Chiesa

Il papa afferma: “la spiritualità cristiana è stata colta un po’ di sorpresa, e si tratta di delineare una spiritualità delle persone anziane”. Infine, chi sono i vecchi nella comunità ecclesiale? Qual è il loro ruolo, per esempio nelle parrocchie? Forse tra breve saranno loro i volontari; ci sarà un volontariato anziano, nella cura dei luoghi, nell’amministrazione, nella solidarietà verso i poveri. Ma non è tutto qui. C’è una domanda cruciale: chi saranno i vecchi nella Chiesa? Chi è l’anziano nella liturgia?

La preghiera degli anziani esprime un sentimento materno verso quanti conducono una vita più attiva della loro. La frequentazione della chiesa e della comunità da parte degli anziani ha un grande valore. Non è vero che i vecchi vanno in chiesa, perché non hanno nulla da fare. Sono invece un esempio di vita orante, accogliente, “accompagnante”, vorrei dire, è un monachesimo di casa.

In questa prospettiva gli anziani ci appaiono dei contemplativi. Un anziano, anche se ridotto allo stremo, nel suo letto, diventa come un monaco, un uomo solo, un eremita, e con la sua preghiera abbraccia il mondo. Sembra impossibile che un’anziana, che ha vissuto tutta la vita presa dalle faccende, nella cura della famiglia, divenga contemplativa. Ma accade, e dobbiamo avere in grande considerazione l’intercessione degli anziani. Ma soprattutto la comunità ecclesiale deve accompagnare gli anziani in quella che è la conversione della loro vita nella terza età. E qui –dobbiamo ammetterlo- la Chiesa è stata poco interessata o disinteressata: preoccuparsi per gli anziani, vecchi clienti della parrocchia, non è una priorità.

Gli anziani hanno più tempo libero. Ma non si tratta di "relax". Il tempo in più dell’anziano è un tempo "liberato", da non riempire solo di cose, ma soprattutto di significato. Può essere il tempo della disponibilità, una dimensione assai rara nelle nostre vite tanto occupate. Il tempo di dedicarsi agli altri. Arrigo Levi ha scritto:

“C’è più tempo per amare, nella terza età e nella vecchiaia. Più di quanto ne abbiamo mai avuto prima. C’è forse anche più bisogno di amare e di essere amati. Alcuni legami d’amore, se così vuole la cattiva sorte, si spezzano, e può sembrarti che non valga più la pena di stare al mondo se chi se ne va è il compagno o la compagna della tua vita; o, Dio ne guardi, un figlio o un nipote, di te tanto più giovani, strappati ad un’esistenza che dovevano ancora vivere. Ma si offrono, in modo anche imprevisto, nuove occasioni per dare prove di amore a chi ci è vicino, e bisogna coglierle. Nella mente e nel cuore c’è in realtà più spazio per l’amore – e anche per far rinverdire l’amore – di quanto ci sia mai stato prima”.

Nella vecchiaia non si vive di meno, si vive diversamente. Papa Francesco ha parlato della vecchiaia come stagione del dono e del dialogo. Gli anziani – ha detto – non sono soltanto “portatori di bisogni, ma anche di nuove istanze, o (…) riecheggiando la Bibbia, di ‘sogni’, sogni però carichi di memoria, non vuoti, vani, come quelli di certe pubblicità; i sogni degli anziani sono impregnati di memoria, e quindi fondamentali per il cammino dei giovani, perché sono le radici”. Gratuità e dono, quindi, ma anche dialogo, perché “il futuro di un popolo suppone necessariamente un dialogo e un incontro tra anziani e giovani per la costruzione di una società più giusta, più bella, più solidale, più cristiana”.

Un nuovo sguardo sulla vecchiaia

La Chiesa non ha sempre saputo trovare risposte alle domande di senso degli anziani. Dopo il Concilio era impegnata nella sfida dell’aggiornamento, per non perdere contatto con mondi che sembravano allontanarsi dalla fede, come i giovani, la cultura e la scienza, il mondo operaio. Ma forse non ci si chiedeva abbastanza che cosa significasse per gli anziani non ritrovare più in chiesa i propri santi, le proprie forme di pietà, sentire che la propria religione non aveva più spazio. Più che ri-evangelizzati, come sarebbe dovuto accadere, gli anziani rischiavano di essere dimenticati. E forse, col tempo, è subentrata una certa pigrizia, “tanto gli anziani ci sono sempre”.

C’è bisogno di una svolta pastorale, di attenzione e cura verso gli anziani da parte delle comunità cristiane: parlare al cuore perché si affermi un’arte dell’invecchiare “per gli altri e non contro gli altri”. Del resto, ogni età ha bisogno di conversione e non si smette mai di essere discepoli: è questo il segreto della giovinezza spirituale.

La Chiesa si troverà sempre più innanzi ad una grande sfida: aiutare il continente degli anziani (perché sono un continente che attraversa tutti i continenti), sempre più numerosi, a scegliere chi essere. Persone benestanti che resistono nei loro fortilizi di benessere e di narcisismo, con una gran paura di invecchiare, o donne e uomini aperti all’ascolto, pronti a fare della propria libertà un terreno di nuove aperture e nuovi orizzonti? Riusciremo a trasformare gli anni in più in occasione per abbandonare l’arroccamento egocentrico sul presente e a riconsiderare la vita come una vera e propria chiamata a nuove frontiere esistenziali?

Libertà, dono, dialogo, gratuità, memoria, preghiera: sono tutte virtù profetiche della vecchiaia che possono rendere il mondo più umano e la Chiesa più evangelica. Dovremmo tutti guardare alla vecchiaia con occhi nuovi: tempo della libertà, dei rapporti gratuiti, tempo dell’amore e dell’amicizia disinteressata, tempo per venire a patti con la nostra debolezza e aiutare anche chi non è anziano a non averne paura. Tempo che riporta in alto il primato dell’essere sull’avere.

La Chiesa in uscita di Papa Francesco avrà sempre più bisogno di anziani convertiti alla passione per il futuro, all’amore per le giovani generazioni, testimoni della fede, artefici di una fraternità che crea legami e apre alla bellezza del vivere insieme.

29 gennaio 2020