#YestoLife

Le cure perinatali possono essere una speranza per molte famiglie

400 persone da 70 paesi hanno partecipato alla prima giornata del Convegno Internazionale
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Hanno preso il via stamattina i lavori del Convegno “Yes to life! Prendersi cura del prezioso dono della vita nella fragilità”, un momento importante per il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, che con questo evento si propone pubblicamente, per la prima volta dalla sua nascita, con un’attività di promozione della pastorale della vita. Il Prefetto del Dicastero, il cardinale Kevin Farrell, introducendo il Convegno lo ha descritto come “un momento storico”. L’intento dell’incontro è “fare in modo che famiglie e professionisti sanitari, volontari ed operatori pastorali possano collaborare ad una vera e propria ‘missione’ ecclesiale a tutela della vita umana nascente in condizioni di fragilità”, creando quella “alleanza terapeutica” che rappresenta uno dei volti più belli della Chiesa, “come il Buon Samaritano impegnata nella cura e nel servizio ai deboli”.

“L’abitudine di presentare la diagnosi prenatale come strumento di prevenzione delle patologie ritenute incurabili, la rende uno strumento di selezione eugenetica”, ha affermato Gabriella Gambino, Sotto-Segretario del Dicastero, che nel suo intervento “Ri-umanizzare la diagnosi: dalla cultura selettiva alla cultura della vita” ha detto che “come Chiesa, siamo chiamati ad aiutare la cultura a fare un salto dalla parte della vita. La famiglia è il luogo dell’amore per eccellenza, quel luogo dove il limite e la malattia possono trovare un modo per inserirsi nella dinamica dell’amore. Ma dobbiamo aiutare le famiglie a poter vivere nell’amore, anche quando la sofferenza si affaccia nelle loro esistenze e le mette a confronto con la solitudine e con quel dolore nel quale devono poter andare fino in fondo, per prenderlo tra le mani, osservarlo e dargli un significato”.

Il prof. Giuseppe Noia, direttore dell’Hospice perinatale del Policlinico Gemelli di Roma e Presidente della Fondazione “Il Cuore in una Goccia” Onlus, che ha organizzato il Convegno insieme al Dicastero, ha toccato il centro del messaggio del Convegno, la speranza che la scienza prenatale può offrire a molte famiglie, sviluppando “la cultura della terapia fetale e dell’Hospice perinatale considerato non solo come un luogo di attuazione delle cure ma, soprattutto, una modalità clinica e relazionale, in cui le metodologie scientificamente rigorose si sposano con la medicina condivisa e la compassione”. La cura può anche non coincidere con la guarigione, ma permette di “prendersi cura” di tutto il nucleo familiare che si trova nella sofferenza.

La rete familiare-testimoniale de “Il Cuore in una Goccia”, ha spiegato Anna Luisa La Teano, co-fondatrice della Fondazione, poggia non solo sulla condivisione delle esperienze, ma soprattutto sul concetto, in senso ampio, di accoglienza; sull’affiancamento e sulla costruzione di legami interpersonali duraturi tra i membri delle famiglie che hanno vissuto o vivono un’esperienza di diagnosi infausta. Un ruolo fondamentale viene ricoperto dalle famiglie “testimoni” come quelle di Simona e Paolo e di Anna Maria che hanno raccontato come, dopo la disperazione nata a seguito di una diagnosi infausta e dopo aver ricevuto il consiglio di abortire, grazie a cure innovative, i loro bambini sono nati ed ora crescono sani.

Anche quando la cura e le terapie non riescono a deviare il corso della malattia, possono comunque essere vissute umanamente. La rete delle famiglie fatta di presenza e di accompagnamento, diviene un sostegno e aiuta a dare significato a qualcosa che diversamente, senza la fede, sarebbe incomprensibile, come hanno testimoniato nel pomeriggio Luigi e Marina, che hanno accolto la vita del figlio Giorgio vissuto solo 21 mesi.

Dal Rwanda, una testimonianza che racconta dell’esito insperato di una gravidanza. Ascoltando il parere dei medici, l’unica soluzione vivibile per tutti sarebbe stato l’aborto, ma dopo alcuni mesi di gravidanza, la bambina non aveva più niente ed è nata in perfetta salute fisica e mentale.

Nel pomeriggio hanno preso la parola il prof. Antonio Lanzone su “Come dare speranza in caso di gravi patologie materno-fetali” e la dott.ssa Ana Martin Ancel su “Le cure palliative perinatali come amore alla vita”. Oltre che dare la possibilità di gravidanze prima nemmeno pensabili, le cure palliative perinatali possono aiutare la coppia ad affrontare un percorso che può essere anche ricordato con pace e carico di senso.

Una tavola rotonda sulla “rete di salvataggio” da impostare, alla quale sono intervenuti  il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, il prof. Alessandro Frigiola e il dott. Vincenzo Papa, ha chiuso i lavori della giornata.

23 maggio 2019