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Intervento di Michele Borghi alla Conferenza stampa

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Un primo contributo che il processo sinodale ha offerto è stato la valorizzazione di luoghi in cui ci si possa ritrovare corresponsabili della missione della Chiesa. Quando ho partecipato alla Riunione pre-sinodale dello scorso anno, mai avrei immaginato che mi potesse segnare così tanto. In quei giorni, diversi nuovi rapporti si sono rivelati immediatamente familiari e misteriosamente fraterni. Eravamo estranei, ma sembrava ci conoscessimo da sempre. Credo che questa sia stata un’esperienza simile a quella descritta dai padri sinodali all’inizio del Documento Finale: pur a partire da sensibilità e culture talvolta distanti, si può camminare insieme, nella Chiesa e non solo. Che cosa rende possibile questo? Mi sembra che Papa Francesco mi abbia risposto con il titolo dell’Esortazione Apostolica: Christus vivit. È questo che rende la sua Chiesa unita, prima di ogni strategia. Riscoprire questa strana unità e la sua origine è stato un primo dono del processo sinodale alla mia vita di cristiano. È così cresciuta in me la voglia di essere un piccolo seme di unità nella Chiesa e in mezzo alle persone che incontro.

Un’altra sollecitazione mi è giunta dai frutti concreti del percorso sinodale. In questi anni la Chiesa ha cercato di individuare i tratti sfidanti della realtà giovanile. Il Documento Finale ne ha messi a fuoco diversi e si è offerto come una base aperta per il cammino che ci attende. È un cammino impegnativo. Di fatto, al di là dei particolari analitici, mi pare che il Sinodo abbia evidenziato un dato lampante: c’è – letteralmente – un mondo di giovani “inquieti” che ci aspetta. Mi è rimasta impressa nella mente un’espressione usata dal Papa nell’Esortazione Apostolica: “sensazione di profonda orfanezza”. Come possiamo, noi che abbiamo incontrato il Padre, non correre a testimoniarlo a tutti i nostri coetanei che sono “orfani”, “cresciuti in un mondo di ceneri”? Immagino che il processo sinodale non sia stato in grado di cambiare la realtà giovanile. Tuttavia, ha cercato di descriverla, e da qui il cammino è appena cominciato. Ne siamo tutti responsabili.

In questo senso, la lettura della Christus vivit mi ha ispirato un forte richiamo alla missione e alla testimonianza. Rileggendo il testo sono stato smosso da due punti di vista. Da un lato, l’Esortazione Apostolica è come un dialogo alla scoperta dell’intimità del proprio essere giovane, guidato passo dopo passo dal Papa. È un dialogo che ci svela la nostra umanità, ricca di attese, fragilità, ferite, e che ci ricorda ciò che Dio vuole dirle. Dall’altro lato, riconsiderando soprattutto il capitolo IV, mi sono chiesto: che modo hanno i giovani di scoprire che Dio li ama, che Cristo li salva, e soprattutto che Egli vive? Su questo aspetto, io credo, ognuno di noi è interpellato. La Christus vivit ci scomoda. Penso non ci sia infatti altro modo per scoprire le “tre grandi verità” – come le chiama Francesco –, se non questo: incontrarle nei volti di chi ha avuto la grazia di sentirsele annunciare e di viverle. Per me, quindi, il processo sinodale e la Christus vivit sono stati una scossa, non tanto per rinnovare un permanente studio sociologico sul mondo giovanile, ma per diventare creativo nell’annuncio, in continua uscita. Spetta innanzitutto a me, a noi, alle nostre comunità, incarnare “il grande annuncio” che tutti i giovani attendono.

Mi piacerebbe quindi che il Forum fosse un momento di approfondimento del compito che abbiamo, ognuno offrendo la propria creatività. Un desiderio speciale per me sarebbe in particolare comprendere di più il significato di quella che Francesco chiama “pastorale popolare”: che tipo di atteggiamento chiede a tutti noi come Chiesa?

 

18 giugno 2019