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Omelia del Card. Lorenzo Baldisseri

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Omelia per la Santa Messa

Roma, 19 giugno 2019

Forum Internazionale dei Giovani – Riunione postsinodale

 

2a  Lettera ai Corinti 9, 6-11

Salmo 111, 1b-4.9

Vangelo secondo Matteo 6, 1-6.16-18

 

Eminenza,

Sacerdoti,

Carissimi giovani, ragazze e ragazzi,

Sono veramente lieto di rivolgermi a voi, cari giovani provenienti da tutto il mondo, in questa Santa Messa, che celebriamo insieme proprio all’inizio del XI Forum Internazionale dei Giovani sul tema: “Giovani in Azione in una Chiesa Sinodale”.

La Parola di Dio è sempre sorgente di una ricchezza spirituale enorme, affascinante, inesauribile, che ci permette di andare in profondità del mistero della vita e ci svela la strada da percorrere per giungere all’incontro con il Signore, nel quale, e grazie al quale, troviamo un approdo sicuro alla nostra ricerca e scopriamo la verità di noi stessi.

 

“Beato l’uomo che teme il Signore”.

Sono le parole del ritornello del Salmo responsoriale, da poco recitate, che desidero ricordare qui per iniziare la nostra riflessione. Queste parole mi sembrano illuminanti.

“Beato l’uomo che teme il Signore” è un’espressione che sembra proporre un linguaggio fuori campo. Com’è possibile essere beati e allo stesso tempo avere timore o ancor più paura - panico. Nel vocabolario i due termini (timore e paura) sono sinonimi, ma nella realtà e nell’esperienza umana e cristiana sono molto differenti.

Cari giovani, in primo luogo, vorrei dirvi che essere beato non è sinonimo di essere felice. La felicità è qualcosa di bello, di positivo, come per es. superare gli esami scolastici, la coronazione di un sogno, avere un lavoro, trovare la persona giusta da amare e sognare con lei la vita futura. Ma c’è sempre un piccolo ma, che sta dietro l’angolo. Infatti magari ho superato l’esame, ma ce n’è un altro da sostenere, sì, ho trovato l’anima gemella per la vita, ma devo affidarmi alla sua perseveranza. Nasce insomma il dubbio, sperimento ciò che è passeggero o provvisorio; vivo condizioni e esperienze che non dipendono da me, vedo il limite.

La Beatitudine, invece, è qualcosa di più profondo, certo, sicuro. Beato è colui che ha trovato il senso della vita e sa di essere sulla strada che lo fa sentire sempre e comunque in armonia con se stesso, con gli altri, con il creato e con Dio. La felicità umana invece ti ‘inchioda’ all’attimo presente o a uno stimolo che deve essere continuamente rinnovato. La Beatitudine ti introduce nell’eternità e ti fa vivere nel ‘per sempre’ di Dio.

Allora la frase del Salmo “Beato l’uomo che teme il Signore” diventa chiara, perché c’è un profondo legame tra l’uomo che vuole essere felice e Dio che gli assicura la felicità, la beatitudine. Il timore di Dio non è paura, ma amore. Papa Francesco lo dice bene con queste parole: «il timore di Dio (…) è il dono dello Spirito che ci ricorda quanto siamo piccoli di fronte a Dio e al suo amore e che il nostro bene sta nell’abbandonarci con umiltà, con rispetto e fiducia nelle sue mani», così che esso viene ad «assumere in noi la forma della docilità, della riconoscenza e della lode, ricolmando il nostro cuore di speranza» (Francesco, Udienza Generale, 11 giugno 2014).

Sant’Ilario, poi, è stupendo quando afferma che il timore di Dio «è tutto nell’amore». Questo amore perfeziona tutto e fa sì che esso non diventi mai un vago sentimento, è un amore “diffusivum” come quello di Dio senza confini e limiti, aperto a tutto e a tutti. Il timore di Dio è l’amore a Dio, un amore che si rivela nella nostra stessa vita e ci porta a compiere gesti ed azioni attraverso cui manifestiamo concretamente la nostra capacità di amare. Quali sono questi gesti? Ci sono suggeriti nel Vangelo di oggi: l’elemosina, la preghiera ed il digiuno.

Questi tre elementi, a dire il vero, sono i pilastri di ogni religione, ma nella nostra fede si qualificano e si specificano per la relazione con Dio, che è Padre, Figlio e Spirito Santo e per l’incarnazione del Verbo.

L’elemosina non coincide con l’offerta, a volte sdegnosa, che viene fatta al povero che tende la mano. Non è la monetina che si lascia cadere ‘dall’alto in basso’ in quella mano tesa. L’elemosina è prima di tutto un dovere di giustizia verso i nostri fratelli e le nostre sorelle. Essa si esprime in particolare nella solidarietà verso coloro che si trovano in difficoltà e porta alla condivisione dei beni, in vista della realizzazione del bene comune

La preghiera è il respiro dell’anima, diceva il Mahatma Gandhi. Grazie alla preghiera, entriamo in una comunione intima, personale, unica con il Signore e ci abbeveriamo alla sorgente dell’Amore. Comprendiamo allora il legame inscindibile che intercorre tra preghiera e capacità di amare. In base a questo legame possiamo verificare se la nostra preghiera è autentica oppure è alimentata da quell’ipocrisia che Gesù condanna nel brano del Vangelo appena ascoltato. Esiste infatti un test infallibile per valutare se la nostra è preghiera autentica oppure un’illusione: se cresciamo nell’amore, se cresciamo nel distacco dal male, se cresciamo nella fedeltà alla volontà di Dio. E allora tutti i giorni dobbiamo chiedere al Signore il dono della preghiera, perché, in fin dei conti, chi impara a pregare, impara a vivere secondo lo Spirito di Gesù.

Il digiuno non è solamente un’astensione dal cibo che sostiene la vita fisica, è l’accettazione simbolica che la propria vita e i propri bisogni non sono l’assoluto. L’Assoluto è solo Dio e la Sua Parola.

Gesù nel Vangelo, affermando l’importanza dell’elemosina, della preghiera e del digiuno, vuole avvertire tutti, in  primis, i suoi immediati interlocutori, che queste tre pratiche non devono essere vissute con l’atteggiamento degli ipocriti, cioè l’occasione per mettersi in mostra e di suonare la tromba per farsi vedere ed applaudire. Il corretto ‘timore di Dio’ significa l’abbandonarsi docilmente nelle sue mani. Non è indossando una maschera quella che ci fa apparire ‘bravi’ agli occhi degli uomini, che ci renderà beati nella vita, contenti del nostro essere figli di Dio ed attenti al bene dei fratelli e delle sorelle.

Ecco, allora, che il timore di Dio, la fiducia in Lui e nel Suo amore, diviene la molla, la motivazione per essere generosi, per donare con gioia, per seminare con abbondanza e perseveranza, come ci invita San Paolo nel brano della Lettera ai Corinti che abbiamo ascoltato.

Carissimi giovani, San Paolo nella sua lettera ci raccomanda di non conformarsi alla mentalità del mondo che vi vorrebbe sottomessi alle logiche dell’avere sempre più, del potere ad ogni costo e dell’apparire.  Papa Francesco, nella Christus vivit, la recente Esortazione Apostolica con la quale ha concluso il Sinodo a voi dedicato, ci ha ricordato che «dobbiamo avere il coraggio di essere diversi, di mostrare altri sogni che questo mondo non offre, di testimoniare la bellezza della generosità, del servizio, della purezza, della fortezza, del perdono, della fedeltà alla propria vocazione, della preghiera, della lotta per la giustizia e il bene comune, dell’amore per i poveri, dell’amicizia sociale».

E non credete a chi vi dice che è tutto inutile, che nulla cambierà, che siete degli illusi perché lottate contro delle potenze più forti di voi. Non sottomettetevi a chi vi vorrebbe silenziosi esecutori di comandi occulti che vi spingono ad essere semplicemente dei consumatori di canzoni, droga, sesso ed immagini che passano veloci sui nostri social media. Abbiate il coraggio di essere diversi. Vorrei sussurrare all’orecchio di ciascuno di voi:

Semina, semina:

l’importante è seminare – poco, molto, tutto –

il giorno della speranza.

Semina il tuo sorriso

perché splenda intorno a te.

Semina le tue energie

per affrontare le battaglie della vita.

Semina il tuo coraggio

per risollevare quello altrui.

Semina il tuo entusiasmo,

la tua fede, il tuo amore.

Semina le più piccole cose,

i nonnulla.

Semina e abbi fiducia:

ogni chicco arricchirà

un piccolo angolo della terra”.

Il mondo che costruirete domani dipenderà da come vivete il vostro oggi. Non lasciatevi soggiogare dai ‘delusi della vita’, dai maligni, da coloro che sono solo preoccupati di se stessi e della propria immagine e vanno in pensione quando sono ancora in fasce. Fate della vostra vita qualcosa che vale, che sia utile per qualcuno, capaci di soccorrere chi ha bisogno del vostro aiuto e di essere vicini a chi è caduto e non riesce a risollevarsi. Seminate amore dentro di voi ed intorno a voi. Perché tutto l’amore seminato, presto o tardi, fiorirà.

In questo vostro impegno nel seminare vi accompagna Maria, l’umile e forte ragazza di Galilea, capace di sfidare gli sguardi maliziosi dei suoi concittadini per realizzare il suo sogno che la Parola di Dio non rimanesse una bella ma inattuata promessa, ma divenisse carne ed abitasse in mezzo agli uomini.

A Lei ci affidiamo per trovare la gioia della vita ed il coraggio di seminare senza stancarci.

 

S.Em. Card. Lorenzo Baldisseri

Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi

19 giugno 2019